“Pink Slime”, l’ingrediente horror dei fast food

carne separata meccanicamente

Sembra un nome uscito da un film dell’orrore, invece la “poltiglia rosa” o “pink slime” è un ingrediente comune delle nostre tavole. Chi non ha mai acquistato wurstel, cordon bleu, cotolette, o hamburger? E chi non è mai andato al fast food? Se vi riconoscete in queste situazioni, vuol dire che vi siete imbattuti nella carne separata meccanicamente.
Questa disgustosa melma rosa si ottiene mediante un procedimento che separa meccanicamente le rimanenze della carne dalle ossa (in Europa solo di polli e suini).
Una volta che si sono usati i tagli di carne più pregiati di un animale, quello che rimane viene pressato in appositi macchinari che sminuzzano e polverizzano anche ossa, tendini, tessuto nervoso e midollo. Ed ecco a voi la pink slime, largamente usata dall’industria alimentare per il suo basso costo e per la sua facilità di impiego.
E così, quando vi trovate nel piatto un bel wurstel di pollo, sappiate che del pollo originale lì dentro c’è veramente poco. Anche se è obbligatorio dichiarare in etichetta l’uso della carne separata meccanicamente, le aziende non amano farlo e trovano sempre qualche escamotage per nascondere o camuffare l’ingrediente incriminato.

Negli USA, dove si stima che il 70% della carne macinata in vendita sia addizionata con carne separata meccanicamente, la situazione è ancora più assurda perché la pink slime viene anche trattata con liquidi contenenti ammoniaca per igienizzarla, perdendo ogni sapore e colore. Viene successivamente insaporita con aromi artificiali e tinta con coloranti. Tutto questo è ancora vietato nell’Unione Europea.

Ma quali rischi si corrono?
La carne separata meccanicamente ha un rischio maggiore di sviluppare colonie batteriche. Più il processo di separazione avviene ad alta pressione, più le fibre muscolari vengono distrutte e questo porta ad un ambiente favorevole alla crescita di batteri. Inoltre l’apporto nutritivo di questa sostanza a base di scarti alimentari è praticamente inesistente e l’origine della carne utilizzata, che proviene sicuramente da allevamenti intensivi, non può essere identificata in alcun modo.
Se poi si tratta di manzo separato meccanicamente c’è un rischio maggiore: quello di contrarre la BSE (morbo della mucca pazza). Per ora in Europa sono vietati la produzione e il commercio di manzo separato meccanicamente, ma le norme a riguardo diventano ogni anno più permissive.

E’ sempre importante leggere le etichette, ma in linea generale sarebbe bene evitare i fast food e tutti questi prodotti confezionati: carne macinata, affettati, cotolette, bocconcini di pollo impanati, wurstel, cordon bleu, hamburger, rollé, polpette, bastoncini di pesce, pesce impanato (LA SEPARAZIONE MECCANICA SI UTILIZZA INFATTI ANCHE PER IL PESCE).
Anche se sono biologici, non vuol dire che siano sicuri. Infatti anche le marche bio utilizzano carne separata meccanicamente.

Noi siamo dei grandi sostenitori della dieta vegetariana per motivi etici e di salute, ma se proprio avete scelto di mangiare la carne (ricordatevi di non mangiarla tutti i giorni), evitate i prodotti confezionati. Scegliete carne italiana e biologica, acquistatela in una macelleria di fiducia, fatela macinare (o affettare nel caso dei salumi) davanti agli vostri occhi, impanate voi le cotolette e lasciate perdere i fast food.
Ed occhio sempre all’etichetta.

Chernobyl: funghi, latte e pesce radioattivi ancora oggi

chernobyl

Quello che successe a Chernobyl quasi trent’anni fa è storia conosciuta. Soprattutto a causa del disastro di Fukushima, si è tornato a parlare molto del nucleare. Ma quello che non si dice, o meglio, che si dice ma chissà perché si preferisce subito dimenticare, è che ancora oggi rischiamo di portare in tavola alimenti contaminati da particelle radioattive.
E ogni tanto purtroppo questo rischio diventa realtà: uno dei casi più eclatanti risale a tre anni fa in Inghilterra, quando furono sequestrati diversi carichi di funghi secchi provenienti dalla Bulgaria, poiché risultarono contaminati tutti da Cesio 137 proprio a causa di Chernobyl.
Il pericolo maggiore proviene infatti dai funghi, che non hanno radici e assorbono ogni elemento dall’atmosfera con la loro intera superficie.
Il governo Ucraino ha interrotto da qualche anno i controlli che effettuava regolarmente sugli alimenti esportati, ma il rischio di radioattività è ancora alto, sostiene Greenpeace, che ha monitorato gli alimenti provenienti dalla zona, raccogliendo dati preoccupanti: tra i più contaminati ci sono proprio i funghi, il latte e i frutti di bosco.
In Ucraina infatti sono 18 mila i chilometri quadrati di terreni agricoli contaminati dall’esplosione di Chernobyl. A questi si aggiunge il 40% dei boschi, tuttora contaminati, pari a una superficie di 35mila chilometri quadrati.
Insomma, non c’è da stare tranquilli. Sono stati addirittura trovati dei livelli relativamente alti di Cesio 137 in alcune zone montane del Piemonte (tracce rilevate nel latte d’alpeggio, nei funghi e nei cinghiali).

Ma in realtà l’emergenza nucleare è ben più estesa di quello che crediamo: se infatti il dramma di Chernobyl è stato ed è ancora sotto gli occhi di tutti, ci sono degli avvenimenti che rimangono segreti e nascosti, o quasi. In pochi infatti sanno che i paesi dell’ex Unione Sovietica, oltre a fare i conti con la radioattività proveniente da Chernobyl, devono vedersela con problemi ben più insidiosi: le numerose discariche di scorie radioattive sparse sul territorio e lo smantellamento degli armamenti nucleari sovietici. La Russia può tristemente vantare i tre siti più radioattivi del mondo (Seversk, Mayak e Zheleznogorsk): sono aree boschive ricche di funghi selvatici che vengono raccolti e venduti in tutta Europa.
L’inquinamento riguarda anche i corsi d’acqua della Siberia, che si riversano nell’oceano Artico, contaminando gran parte della popolazione ittica.

Allora ecco alcuni piccoli e preziosi consigli per evitare di incorrere in cibi radioattivi:

  • Cercate sempre di acquistare funghi freschi italiani, ma se decidete di comprarli surgelati o secchi assicuratevi della loro provenienza. Se non è possibile capirne la provenienza, evitateli.
  • Cercate di acquistare solo latte italiano, magari della vostra regione. Se acquistate prodotti che contengono latte, preferite quelli che indicano in etichetta “100% LATTE ITALIANO”.
  • Evitate i frutti di bosco surgelati. Evitate prodotti che contengono frutti di bosco dalla provenienza sconosciuta (yogurt, merendine, ecc.).
  • Evitate il pesce surgelato e il pesce che proviene dall’oceano Artico (leggete sempre le etichette). Evitate i pesci di acqua dolce e i pesci di grossa taglia che assorbono più sostanze nocive rispetto a quelli di piccola taglia.
  • Quando andate a mangiare al ristorante, preferite posti che prestano attenzione alla qualità degli ingredienti usati.

Non preoccupatevi più del necessario. Alimentazione consapevole non vuol dire vivere nell’ansia e nella paranoia, ma informarsi sempre e saper scegliere bene, facendo anche qualche piccolo sacrificio.
E vedrete che sicuramente la vostra salute ringrazierà.

Fonte: Ispettori Micologi

Miglioratori del pane, se ne parla sempre troppo poco

pane

Ogni tanto l’opinione pubblica decide di occuparsi di questo argomento. Puntualmente, ogni quattro o cinque anni, qualcuno grida allo scandalo, si leggono articoli, si sentono notizie, le persone si infervorano, ma poi dopo un pò tutto tace di nuovo. E per questo i miglioratori del pane continuano ad essere usati, sempre più diffusamente. Ma cosa sono i miglioratori del pane? Il nome ci suggerisce il loro utilizzo ma può trarre in inganno. Sono infatti delle sostanze, degli additivi usati per migliorare non certo la qualità del pane quanto la forza degli impasti, la tenuta, la lievitazione. Servono soprattutto nel caso in cui si usino delle farine di qualità inferiore (e qui si pone un altro problema che analizzeremo successivamente). Ma, domanda da un milione di dollari…. cosa contengono davvero i miglioratori del pane? Non è facile capirlo con precisione. Alcuni miglioratori contengono enzimi. Enzimi estratti dal pancreas del maiale. E questo è un bel problema se si segue una dieta vegetariana o vegana. Un prolema perchè non c’è nessuna etichetta che indichi la presenza di questi additivi e non è obbligatorio dichiararli. Ma anche chi non è vegetariano può provare un senso di ribrezzo al pensiero di mangiare enzimi pancreatici in mezzo al pane.

Continuando la ricerca, troviamo un sito che vende proprio questi miglioratori per pane, rifornisce forni e pasticcerie. Troviamo un’ampia scelta di miglioratori di tutti i generi, ma dagli ingredienti misteriosi. Infatti nella descrizione dei prodotti, eccetto in alcuni lacunosi casi, non c’è la minima menzione degli ingredienti.

Ci sta il “Miglioratore universale adatto a tutti i tipi di pane e prodotti da forno“che:

  • Migliora la qualità degli impasti, la loro “forza” e la tenuta in lievitazione
  • Rende gli impasti ben estensibili e facilmente lavorabili
  • Basso dosaggio di utilizzo, poichè è attivo anche a dosi molto basse
  • Conferisce sviluppo ottimale ai prodotti finiti
  • Mollica soffice e profumata con crosta sottile e croccante
  • Non contiene emulsionanti da dichiarare in etichetta
  • E’ di impiego universale e può essere utilizzato per tutti i tipi di pane e di prodotti lievitati da forno

Poi c’è il “Miglioratore universale con lecitina per pane e prodotti da forno” che contiene lecitina, un emulsionante di origine vegetale dalle note proprietà positive.

  • Sapore ricco e gustoso
  • Contiene glutine, che conferisce stabilità e tolleranza di lievitazione agli impasti, che risultano anche più plastici e di facile lavorazione
  • Ottime prestazioni anche con le tecniche di lievitazione ritardata (fermalievitazione)

E infine i famigerati miglioratori enzimatici, più decine di altri miglioratori adatti ad ogni tipo di lievitazione, temperatura, impasto, farine usate. Un’ampia scelta, ma in nessuno di questi casi c’è il minimo accenno agli ingredienti. Per quanto riguarda la lecitina di soia, piu che di proprietà positive (come le definiscono loro) bisognerebbe parlare di lecitina di soia dalla provenienza sconosciuta e probabilmente OGM. E il bello è che la stessa azienda commercializza anche farine e miglioratori biologici, sempre non indicando gli ingredienti e la provenienza, ma solo un vaga descrizione: Coadiuvante a base enzimatica con ingredienti da agricoltura biologica.

E adesso arriviamo alla qualità delle farine usate: è indubbio che se si usa una buona farina di qualità e un buon lievito fresco non industriale, l’impasto viene bene anche senza miglioratori. Quindi è ovvio che chi usa questi miglioratori lo fa per sopperire alla scarsa qualità delle farine e del lievito usato.

Anche delle farine di pane e pasta si è parlato molto ultimamente. Infatti ormai la maggior parte della farina e del grano vengono importati e addirittura semilavorati già all’estero. In alcuni casi (quelli noti, perchè sottoposti a sequestro durante i controlli), i livelli di micotossine erano molto al di sopra dei livelli stabiliti per legge a causa di produzioni e stoccaggi scorretti. Ma i controlli si sa che sono fatti a campione, quindi probabilmente per una derrata che è stata fermata ne sono passate dieci contaminate da micotossine. Dobbiamo purtroppo precisare che in molti casi il problema delle micotossine è anche italiano, e dovuto alla scarsa (inesistente) pulizia dei silos o alla cattiva conservazione delle farine da parte dei forni.

Quindi nel nostro pane oggi possiamo trovare enzimi pancreatici, soia ogm, sostanze antimicotiche, vari additivi chimici non meglio identificati, grassi idrogenati, e chissà cos’altro. I danni che tutto ciò provoca alla salute sono ancora poco conosciuti, ma diversi studi hanno dimostrato che c’è una stretta relazione tra l’uso di additivi chimici e le allergie che sono in aumento esponenziale negli ultimi anni, così come la celiachia. Stiamo inoltre assistendo alla nascita di nuove patologie, come la MCS (Sensibilità Chimica Multipla), una grave e mortale patologia ambientale. E la ME (encefalomielite mialgica, chiamata precedentemente sindrome della fatica cronica) una patologia multifattoriale e invalidante dalle cause ancora sconosciute (con concause sicuramente ambientali).

Ma quindi è impossibile essere sicuri della qualità del pane che si mangia? Sembrerebbe di si, possiamo dire chè è molto difficile, ma non impossibile. E’ difficile, perchè mantenere sempre l’attenzione alta su quello che si compra è faticoso. E’ difficile perchè se si vuole essere sicuri che il pane che mangiamo sia sano, bisognerebbe imparare a farselo in casa (possibilmente a mano) e farlo quotidianamente, usando farine da agricoltura biologica made in Italy (è vero anche che al giorno d’oggi il vero biologico non esiste quasi più, data anche la contaminazione dei terreni, dell’acqua e dell’aria, però i prodotti bio sono sicuramente più sani).

Ma forse vale la pena tentare, facendo diventare questi gesti sconosciuti o quasi, una piacevole routine.

E voi vi fate il pane in casa da soli? Vorreste cominciare? Fateci sapere le vostre esperienze!